L’inserimento di una clausola Incoterms in un contratto di compravendita internazionale di beni mobili non comporta una deroga pattizia al foro competente, se le Parti non hanno espresso chiaramente la propria volontà in tal senso.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24478 del 01 ottobre 2019, con la quale ha avuto modo di riaffermare il consolidato orientamento delle Sezioni Unite sul tema.
Con l’ordinanza in oggetto, in particolare, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello di Venezia: l’unico motivo di ricorso lamentava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 n. 1 del Regolamento (CE) 22.12.2001 n. 44 laddove – secondo il ricorrente – l’apposizione sugli ordini della dicitura “EX WORKS Incoterms 2000” avrebbe costituito un accordo per individuare quale luogo di consegna della merce la sede del venditore italiano, così che sussisterebbe la giurisdizione del giudice italiano. Il ricorso si basava su una pronuncia della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale «al fine di verificare se il luogo di consegna sia determinato in base al contratto, il giudice nazionale adito deve tenere conto di tutti i termini e di tutte le clausole rilevanti di tale contratto che siano idonei a identificare con chiarezza tale luogo, ivi compresi i termini e le clausole generalmente riconosciuti e sanciti dagli usi del commercio internazionale, quali gli Incoterms (International Commercial Terms), elaborati dalla camera di Commercio Internazionale, nella versione pubblicata nel 2000» (Causa C-87/10, Electrosteel c. Edil Centro.).
Ricorda la Suprema Corte che «le SS.UU. hanno infatti affermato che “in tema di vendita internazionale a distanza di beni mobili, il giudice chiamato a decidere sulla propria giurisdizione, rispetto a tutte le controversie nascenti dal contratto […] deve applicare il criterio del luogo di esecuzione della prestazione di consegna, di cui all’art. 5. n. 1, lett. b) del regolamento CE 22 dicembre 2001 n. 44, laddove una diversa convenzione stipulata dalle parti sul luogo di consegna dei beni, per assumere prevalenza, deve essere chiara ed esplicita, sì da risultare nitidamente dal contratto” (così Cass. Sez. un., n. 24279/2014).
Si veda pure – in relazione all’art. 7, lett. b), del regolamento n. 1215/2012 e alla clausola c.d. CIF – Cass. Sez. un., n. 32362/2018, secondo cui “in tema di vendita internazionale a distanza di beni mobili, la controversia avente ad oggetto il pagamento della merce va devoluta, ai sensi dell’art. 7, lett. b), del regolamento UE n. 1215 del 2012, alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria del luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto, non ostando a tale conclusione l’inserimento, nel contratto medesimo, di una clausola CIF che sposti il momento del trasferimento del rischio del perimento del bene dal compratore al venditore, se essa non sia accompagnata da una specifica pattuizione volta ad attribuire, con chiarezza, al luogo di passaggio del rischio valenza anche di luogo di consegna, così concretizzando una deroga convenzionale alla giurisdizione, consentita dall’art. 4 della l. n. 218 del 1995”».
Il giudice d’appello, pertanto, ha correttamente ritenuto che la semplice apposizione su alcuni degli ordini di una delle clausole di trasporto previste dagli International Commercial Terms (elaborati dalla Camera di Commercio Internazionale ai fini di individuare i limiti in cui i rischi e i costi di spedizione, trasporto e di dogana sono a carico del venditore o del compratore) non è sufficiente a fondare la giurisdizione italiana.